domenica 9 marzo 2008

La carta della disperazione

Quando si cambia un allenatore a nove giornate dal termine del campionato è segno che – perso per perso, dopo un campionato fallimentare - si vuole tentare la carta della disperazione. Capisco la mossa di Raffaele Trapani e capisco pure il risentimento della tifoseria per i risultati poco soddisfacenti raccolti nell’arco dell’intero campionato. In questi casi, si sa, chi paga per tutti è sempre l’allenatore, ritenuto, a torto o a ragione, il principale capro espiatorio. Ebbene, può sembrare assurdo, ma è stata proprio la campagna di gennaio che ha scavato la fossa a Chiappini. In precedenza, quando i risultati altalenanti erano all’ordine del giorno, c’era stata comprensione per l’operato del tecnico. “Ha una rosa ristretta – dicevano – cosa può fare di più? E’ già un miracolo se abbiamo battuto Foligno, Legnano e Cavese… come si può giocare all’attacco se non abbiamo centrocampisti in grado di organizzare una manovra decente?” Quando sono arrivati Fusco, Marino, Fanasca, Osso e Hodza per Chiappini non c’è stato scampo. Si sperava che i “nuovi” avessero da dare parecchio alla squadra in termini di qualità e quando – purtroppo – si è visto che i risultati continuavano a non venire e che in trasferta la squadra continuava a non giocare a calcio, si è deciso di intervenire drasticamente. Quella di Miggiano, a nove giornate dalla fine del regolare torneo, è da considerarsi come la mossa della disperazione. Una mossa che dovrebbe portare innanzitutto armonia tra squadra e tifoseria, considerato oramai che Chiappini era visto come il fumo negli occhi e veniva additato come il maggiore responsabile della disfatta. Come è strana la vita! Proprio ieri ho avuto fra le mani il libro “Il sogno di una C2” scritto in occasione della promozione del Melfi e – non ci crederete – Chiappini, allenatore dei lucani in quel 2002-03, viene descritto come l’uomo della Provvidenza, capace cioè di far interpretare alla sua squadra il calcio del futuro, fatto di intraprendenza e di spregiudicatezza tattica; un calcio arrembante, mai statico, mai passivo con calciatori sempre pronti a recitare la parte di chi deve imporre il proprio gioco, sia in casa che fuori. Come cambiano le cose, eh!
Giriamo pagina. A poche settimane dalla fine è chiaro che da Miggiano non ci si possono attendere stravolgimenti; ma motivazioni certamente sì. Si ha un bel dire che la squadra giocherà con un modulo tattico diverso, pare con un 3-4-3, visto ormai, purtroppo dico io, che i numeri sono di moda. E’ però l’atteggiamento tattico che deve essere diverso. I numeri lasciano il tempo che trovano; sono solo combinazioni da lavagna. In campo si deve giocare al calcio ed è inutile che si cerchi di dire, di spiegare che quella tale squadra comincia a giocare in un modo, diciamo con un 3-4-3, per poi mutare atteggiamento nel corso della gara passando a un 3-3-1-3. I giocatori di calcio non sono pedine da utilizzare in un gioco di scacchi; sono atleti che macinano il campo, avanti e indietro, che hanno personalità, che non possono contare i metri o la posizione in campo quando entrano nel vivo dell’azione. Ve lo immaginate un terzino d’ala che scende sulla sua fascia e che ad un certo punto – impossibilitato a dialogare con un compagno di squadra - lascia il pallone all’avversario perché secondo il modulo disegnato dal suo allenatore non può superare una certa linea del campo? Suvvia, non facciamo ridere con questa mania dei numeri a tutti i costi; cerchiamo di essere seri e di dire alla gente che una squadra può essere schierata in maniera più o meno guardinga, ma senza mai tralasciare la possibilità di controbattere colpo su colpo alle iniziative degli avversari. E’ chiaro che nel calcio si vince, si perde e si pareggia. Quando si perde, è lecito attendersi di aver visto all’opera una squadra gagliarda, in grado di contrastare efficacemente gli avversari. Fino a questo momento ben poche volte la Paganese è stata all’altezza della situazione, soprattutto nelle gare esterne. Miggiano questo lo sa bene. Perciò tutti ci attendiamo di vedere all’opera una squadra più spregiudicata; che sappia intelligentemente chiudere gli spazi alla prevedibile manovra offensiva avversaria e conseguentemente neutralizzare gli attacchi del Foligno; ma che sia in grado anche di ripartire e di dare qualche dispiacere ai titolati avversari. La salvezza, oramai, - è inutile illudersi - bisognerà conquistarsela al “Marcello Torre” nei play-out, sempre Verona permettendo. Ma un segnale positivo da una trasferta prima o poi deve pur venire. Meglio prima però, o no? Nino Ruggiero - Cronache del Mezzogiorno

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